SHIRLEY JACKSON-LA VERA HILL HOUSE.

“Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse là dentro, si muoveva sola”.

Il romanzo della Jackson e la serie tv che abbiamo recensito poco tempo fa iniziano con le stesse identiche parole (sì, anche con la frase sulle condizioni di realtà assoluta), ma l’unica cosa che hanno in comune è Hill House e qualche nome. La protagonista del romanzo è Eleanor Vance (che per il suo carattere schivo, solitario e rancoroso nella mia mente ha avuto per tutto il tempo il volto spigoloso della Shirley della serie e non della dolcissima Nell, volto che di tanto in tanto si è confuso, con l’avanzare della narrazione, con quello di Carla Gugino); è chiamata a Hill House dal professor Montague, studioso del paranormale che spera di dare prove dell’esistenza dei fantasmi alla comunità scientifica, per la sua esperienza con una pioggia di pietre anni prima; gli altri ospiti (Luke, giovane belloccio scialacquatore dei beni di famiglia ed erede legittimo di Hill House, e Theodora, una specie di sensitiva) sono chiamati a raccolta per gli stessi legami, diretti o indiretti, con il soprannaturale.

Appena arrivati, vengono tutti accolti dai signori Dudley, insopportabili e inospitali, i quali non mancano di mettere in guardia ognuno degli ospiti sulla terribile sorte che toccherà loro una volta varcata la soglia di Hill House. Tutti notano immediatamente quanto la casa sia orribile, in un modo che non riescono a capire. Durante il loro soggiorno, che dura appena una settimana d’estate, essi assistono ad alcuni eventi soprannaturali. Odono dei colpi metallici sulle porte nella notte, e le porte stesse si chiudono da sole, compaiono animali fantasma che sgattaiolano oltre le serrature chiuse a chiave. Ma la preda preferita della casa sembra essere Eleanor. Il finale è prevedibile, e un po’ deludente nella mia opinione.

Shirley Jackson non ha scritto quello che oggi noi definiremmo un horror, quanto più uno splendido romanzo gotico. Almeno per la prima metà. Quando i rapporti tra i personaggi si sono stabilizzati, diventano, purtroppo, la trama principale, e questo mi è sembrato un punto dolente per l’economia del romanzo, che fino ad allora aveva trattenuto la mia attenzione e posto l’asta della tensione sempre più in alto. Mi duole ammetterlo, ma nella seconda parte del romanzo il mio interesse è di molto scemato. Certo, bisogna contestualizzarlo: è un libro del 1959. Inoltre è uno dei libri preferiti di Stephen King. Non sto certo mettendo in discussione i gusti del Re, sia chiaro, anche perché è un libro ben scritto; ho apprezzato il dubbio che la Jackson fa serpeggiare nel lettore alla fine: Hill House è davvero una casa piena di spettri? O semplicemente le sue geometrie contorte non fanno altro che far emergere la pazzia già insita nei personaggi? È la casa ad essere infestata? O sono i suoi inquilini che la infestano? Le descrizioni di Hill House mettono i brividi. Insieme a Eleonor è sicuramente lei l’altra protagonista del romanzo, la casa. La Hill House della Jackson riesce a far rabbrividire semplicemente con i dettagli della sua atmosfera. Ecco, l’atmosfera è di sicuro il punto forte del romanzo e anche il vertice cui fa capo la tensione costruita. La casa è così insidiosa che si sospetta il comparire di qualcosa di tremendo appena si gira la pagina. La delusione è che questi avvenimenti si riducono veramente a pochi fatti, sebbene i contorni dei personaggi e della casa sfumino sempre di più in una dimensione onirica che dilata il tempo e lo manipola all’infinito. Alla fine la traduzione italiana del titolo della Jackson, L’incubo di Hill House, si rivela più che azzeccata, perché la sensazione alla fine del romanzo è proprio quella dell’incubo dal quale non ci si riesce a svegliare.

Insomma, il libro è bello e scorrevole. Ma mi aspettavo di più. Dopo aver letto la Hill House della Jackson, quella originale, tuttavia, la mia stima per Flanagan non ha potuto che aumentare! Il regista ha citato il libro così bene, pur raccontando un’altra storia, che davvero anche i lettori accaniti della Jackson non possono esser stati contrariati dalle sue scelte. È molto raro che i libri da cui si traggono le serie tv o i film vengano trattati con tanto rispetto, figuriamoci quelli a cui le suddette opere visive sono solo ispirate! Eppure Flanagan ci è riuscito. Mentre leggevo, non ho potuto fare a meno di apprezzare tutti i riferimenti che nella serie sono stati fatti al libro.

Ad ogni modo, Shirley Jackson è una maestra del romanzo gotico, e se prendete il libro per quello che è, senza farvi troppe aspettative basandovi invece sulla serie Netflix, sicuramente lo apprezzerete. Voto 8/10.

Ilaria Alleva

 

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