Suspiria visto dalla mia generazione

 

Quando sentii parlare di “Suspiria” di Dario Argento per la prima volta, avrò avuto sì e no dodici anni. Mia zia mi stava raccontando del perché aveva smesso di guardare i film del famoso regista e mi disse: “Suspiria mi ha terrorizzata, tanto che la notte Micia (la sua gatta) mi è saltata sul petto, ma io l’ho scambiata per il mostro dagli occhi verdi del film e l’ho praticamente lanciata via”. Ecco, quando l’altra sera ci siamo riuniti tutti per il cineforum su Suspiria, ero molto preoccupata di come avrei passato la notte seguente, soprattutto di come sarei riuscita a dormire.

Da un punto di vista prettamente tecnico, il film è invecchiato benissimo: nonostante siano passati ben quarantun anni (no, non sto scherzando, il film è del ’77) le riprese, le simmetrie, la scelta del colore rosso e dei corridoi stretti, la sala con gli specchi, tutto riesce a suscitare non tanto paura, quanto un senso di straniamento nello spettatore, che poi si trasforma in quel disagio creato dai quadri storti di un millimetro in una stanza perfettamente ordinata, ovvero quella sgradevole sensazione che dice che c’è qualcosa che non va, ma non si capisce cosa, fino a diventare angoscia. La fotografia è impeccabile e gioca di contrasti, la regia un capolavoro, la scenografia eccezionale. Avendo visto “Shining”, mi è venuto da pensare che Kubrick strizzasse l’occhio al regista nostrano per tutto il tempo.

Peccato che gli effetti speciali non siano invecchiati altrettanto bene: i famosi occhi verdi del mostro (?) in realtà sembrano quelli che si trovano nel punch alle feste di Halloween per bambini. Il sangue purtroppo più che l’orrore, suscita la curiosità: che diavolo di sostanza hanno usato per farlo venire così tanto rosso? Ketchup o sugo di pomodoro? Più belli gli effetti della stanza e del corridoio segreti, nel finale. La vecchia strega suprema è invecchiata tanto male nel film quanto nella realtà: un pupazzo che davvero si riesce a guardare a stento senza farsi una risata.

La trama è il colpo di grazia: un film del genere va contestualizzato, questo mi sembra logico. Chiaramente per l’epoca gli effetti speciali e gli omicidi cruenti saranno bastati a imprimere la pellicola nella memoria degli spettatori. Di certo non la storia, lenta e piuttosto banale, la cui struttura si può ritrovare in ogni fiaba per bambini: una ragazza americana si trasferisce per diventare una ballerina professionista in una città della Germania che ospita una scuola di ballo di fama mondiale. Nella stessa scuola accadono cose strane, sparizioni e infestazioni di insetti sono all’ordine del giorno. Si scopre che in realtà la scuola fu fondata da quella che si dice fosse una strega e che tutte le insegnanti siano sue adepte. La leggenda si rivela veritiera, e la protagonista in un finale che stenta a tenere lo spettatore incollato allo schermo, riesce a scoprire il rifugio segreto della strega fondatrice trovandola ancora viva, anche se vecchissima, e si capisce che è lei ad emettere (per l’appunto) un sospiro pesante, inquietante, quasi un alito di morte. La strega tenta di uccidere la protagonista, ma come una scema lampeggia mentre fa l’incantesimo, e rivela la sua vera posizione, permettendo così alla ragazza di ucciderla infilandole uno spillo nella gola. Il finale sembra monco, come se la vera conclusione fosse stata tagliata di netto in fase di montaggio: la protagonista riuscita a scampare all’incendio della scuola di ballo e alle malvagie streghe appena davanti all’ingresso della scuola che aveva tanto sognato, sotto la pioggia, sorride di sollievo, mentre dietro di lei l’edificio è ancora in fiamme. Fine. Niente di interessante.

 

La lentezza del film poi, per uno spettatore dei nostri giorni, è disarmante. I tempi morti sono infiniti, e ci sono avvenimenti ai quali si dà una grossa importanza che in realtà non sono poi così utili ai fini della trama. Eh, ma dovrà pur accadere qualcosa che dimostri l’ambiguità degli eventi legati alla scuola. Certo, ma allora perché fare 800 inquadrature tutte uguali lunghe ognuna tre minuti prima di far ammazzare uno? Fanne due, le fai durare un po’ di più, e ci metti pure un bel colpo di scena, una morte improvvisa. Invece ogni morte è telefonatissima almeno tre minuti prima che accada. E purtroppo, la splendida colonna sonora dei Goblin, contribuisce a disincentivare l’attenzione dello spettatore essendo ripetuta troppe volte e troppo a lungo. Lo spettatore del 2018 non si chiede “oddio, adesso che succede?”, ma “oddio, ma questo quando muore!?”.

A una persona interessata alla trama, abituata al Trono di Spade (famoso per le morti inaspettate) Suspiria non può suscitare nient’altro che una gran sonnolenza (almeno le mie preoccupazioni iniziali si sono dissipate dopo una mezz’oretta).

A chi vuole il brivido dell’orrore, dopo It, Suspiria non susciterà altro che una risata.

Ma agli appassionati del cinema in genere, ai critici e agli spettatori più acuti, resterà il ricordo piacevole di immagini stupefacenti. Insomma, un film per pochi intenditori ormai. Non me ne vogliano Dario Argento e i suoi fan: il mio è solo il punto di vista di una spettatrice del ventunesimo secolo.

Ilaria Alleva

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