LIFE: un intelligente horror sci-fi.
Life-Non oltrepassare il limite è un film di Daniel Espinosa del 2017. Si tratta di un horror sci-fi che ricalca tematiche già affrontate dal genere, soprattutto da Alien di Ridley Scott: una missione per la scoperta della vita fuori dalla Terra si trasforma in un massacro dalle atmosfere claustrofobiche. Eppure il risultato è fenomenale.
Trama (con spoiler)
Sei astronauti si trovano a scoprire un organismo marziano, capace di vivere e crescere a determinate condizioni atmosferiche. Solo uno dei membri dell’equipaggio è autorizzato ad interagire con lui, ma quasi si affeziona al piccolo alieno, che ha anche un nome (umanissimo): Calvin. Ma il marziano ben presto sveste i panni del tenero grumo di cellule per trasformarsi in un predatore instancabile. Il primo a farne le spese è proprio il suo “padre adottivo”, e pian piano tutti i membri dell’equipaggio. Calvin è descritto come “tutto cervello, tutto muscoli, tutto occhi”. Cioè un predatore inarrestabile e decisamente affamato. Alla fine l’obiettivo diventa tenere l’organismo il più lontano possibile dalla Terra, a costo di finire per sempre nello spazio profondo.
I personaggi
In Life anche i personaggi che sembrano destinati ad essere stereotipi con dei semplici tratteggi riescono a raccontare una storia tridimensionale. David (Jake Gyllenhaal), il medico militare reduce dei bombardamenti in Siria invece di scadere nel cliché dell’eroe bravo e buono afferma di non voler tornare sulla Terra perché trova il comportamento degli umani deplorevole, e non vuole più perder tempo a salvare chi continua a farsi a pezzi. Evitato (anche se di poco) il cliché amoroso che quasi tutti i personaggi di Gyllenhaal si trovano a vivere: il rapporto che lega David alla razionalissima Miranda (Rebecca Ferguson) è sì intimo e speciale, ma mai concretizzato in rapporto amoroso. Lodevole. Sho (Hiroyuki Sanada) è un tecnico introverso che assiste teneramente via smartphone al parto della moglie e che vuole più di tutto tornare dalla sua famiglia. Hugh (Ariyon Bakare) è un ricercatore dalle gambe atrofizzate che nello spazio può fluttuare e compiere azioni eroiche nonostante il suo handicap. Il comandante Ekaterina (Olga Dihovichnaja), nonostante il suo ruolo, è dolce e quasi materna col suo equipaggio, e al tempo stesso coraggiosa e responsabile. Il tecnico Rory (Ryan Reynolds) è probabilmente il più stereotipato “cafone americano” che sfotte le altre culture riducendolo a macchiette, ma solo in superficie: incarna lo spaccone dal cuore d’oro. Sebbene i protagonisti principali siano Miranda e David, questi non prevalgono mai sugli altri, che più che aiutanti possono essere definiti dei comprimari, con un gioco di equilibri difficile da mantenere quando ci sono così tante facce in gioco.
L’alieno
Dulcis in fundo, Calvin, il marziano. La scelta del nome è particolarmente inquietante, perché di solito viene associato a Calvin&Hobbes o comunque a una creatura innocente (di fatti è scelto dal nome di una scuola elementare nel film). Ma l’alieno è tutto tranne che un tenero pargolo. Viscido, pericolosissimo, raccapricciante e allo stesso tempo affascinante, elegante, esotico. Un design davvero interessante per un alieno che doveva attrarre e allontanare lo spettatore. Life, senza alcuna pretesa, pone delle questioni esistenziali rilevanti: si può parlare di malvagità quando si parla di sopravvivenza? Si può distinguere in bene e in male quando a prevalere è la forza della vita stessa (lo stesso titolo lo suggerisce)? E, soprattutto, fin dove è lecito spingersi per l’uomo nella conoscenza (e nell’invasione) dell’altro, del diverso, dell’alieno inteso nel senso latino del termine? Calvin è una creatura sicuramente letale, ma può davvero definirsi cattivo? È un animale, furbo, intelligente, spietato, fortissimo. Fa del suo meglio per assicurarsi la sopravvivenza. E lo spettatore non può non ritrovarsi ad incolpare i protagonisti di Life che hanno, per l’appunto, superato il limite.
Comparto tecnico
Intelligente connubio tra le atmosfere claustrofobiche e angoscianti di Gravity e quelle horrorifiche e raccapriccianti di Alien e de La cosa. Una cgi non invadente, pulita, funzionale. Una colonna sonora non memorabile ma azzeccatissima. Una regia accattivante che tiene col respiro sospeso e omaggia i film sopracitati. Ottime performance recitative. Anche la sceneggiatura è molto intelligente.
Conclusione
Un bell’horror sci-fi che tiene la tensione sempre alta, un finale a sorpresa che vi lascerà di stucco, un film che vi farà essere ben contenti di starvene coi piedi piantati a Terra invece che sospesi in assenza di gravità.
Voto finale: 8.
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