About: la forma dell’acqua
[attenzione spoiler]
Non si può dire che il film vincitore dell’Oscar 2018 sia brutto. E non per rispetto verso l’accademy di cui, da tempo, delle sue scelte ci importa poco o niente (più o meno da quando non premiarono Pulp Fiction), ma perché effettivamente vuoi per la bravura degli attori, vuoi per la buona volontà della ricostruzione dell’America degli anni ’50 non si può dire che lo sia.
Tuttavia è un film prevedibile, scontato, stereotipato e per di più molto banale.
La realtà è che Guillermo del Toro, racconta una storia di cui sappiamo tutto dopo cinque minuti dall’inizio del film.
L’omaggio al “Mostro della laguna nera” è evidente anche se la creatura uomo-pesce assomiglia un po’ troppo all’anfibio Abe del suo Hellboy.
Ad ogni modo dicevamo film prevedibile, infatti dal momento che la protagonista Elisa, una donna muta un addetta alle pulizie del misterioso laboratorio Occam (stereotipo della donna bruttina sfortunata nella vita e nell’amore) in cui viene portata una sventurata creatura anfibia (stereotipo del mostro buono torturato da mostri umani) incontra questa per la prima volta lo spettatore può immaginarsi già tutto.
Lei si innamorerà di lui e lo farà scappare dai terribili militari sadici (stereotipo del militare cattivo) con l’aiuto di qualche amico (stereotipi della comunità nera e di quella omosessuale) e nonostante gli evidenti problemi di compatibilità specie -specifica vivranno dei momenti indimenticabili.
Ecco la storia è tutta qui, più o meno.
C’è da dire che Michael Shannon nei panni del militare cattivo è particolarmente convincente, che la britannica Sally Hawkins che interpreta Elisa è bravissima e ci regala dei momenti convincenti (come quando fa lo spelling di “fottiti” al militare che non sa la lingua dei segni).
Da salvare anche la scena terribile in cui la “creatura” mangia un gattino, forse unico momento non banale e prevedibile di tutta la pellicola.
Il resto è zucchero in salsa gotica-retrò, utile per far salire i valori della glicemia e poco altro.
Certo, in questi giorni il fil,m sarà sbandierato come trionfo dell’amore e dell’empatia per il diverso, un film antirazzista, un film che invita al superamento delle categorie e delle razze.
Tutto splendido, bellissimo, bravò, eccovi l’oscar.
Però nonostante tutto siamo ad anni luce dalla genialità del “Labirinto del fauno” che ha lanciato il regista. Ed anche all’infinitamente migliore “Edward Mani di Forbice” che del resto sull’amore surreale per il diverso ha già detto tutto.
Ma del resto, lo sappiamo, per vincere l’oscar devi andare sul sicuro. Film melensi, comodi e che incitino all’amore universale stile “One” degli U2.
Probabilmente Guillermo non voleva aspettare quanto ha aspettato Scorsese, però che noia!
J. Mnemonic