IT fa ancora paura, ma non questo film
[Voto al cap. II: 5.0/10 – voto al cap. I 8,8/10 – Resa di insieme: 5.9/10]
[Attenzione: spoiler a non finire]
Per quanto ci aveva esaltato il primo capitolo dell’IT targato Muschietti altrettanto ci delude questa seconda parte.
Ridondante sulla prima parte, pretestuosa, mal costruita e priva di coraggio.
Innanzitutto cosa salvare di questo cap. II?
Qualcosa c’è, a voi giudicare se poi vale il prezzo del biglietto.
Il cameo di Stephen King. Piacevole, simpatico al posto giusto. Autocitazione o quasi del suo “Cose Preziose”; Stephen con la maglietta di Neil Young nella sua Derry quasi fosse il vero Deus Ex Machina, ci è piaciuto tantissimo.
Le scene già studiate da King e proposte anche nella versione degli anni ’90 con Tim Curry: l’incontro al ristorante cinese con i dolcetti della fortuna che prendono vita, la scena di Beverly che immagina di rientrare nella sua vecchia casa e trova una vecchietta che da amorevole diventa un mostro terrificante.
La scena del duello fra Pennywise e Bill nel labirinto degli specchi per la salvezza di un bambino (questa tutta farina del sacco di Andy Muschietti).
Il terrore di Ritchie adulto che vede Pennywise sulle spalle del boscaiolo simbolo di Derry.
Ma IT (libro) è molto più di questo. Lo abbiamo detto molte volte e lo ribadiamo.
Andres Muschietti aveva fatto un ottimo lavoro sul primo, spostando le linee temporali di vent’anni in avanti per renderlo più attuale e trovando un Pennywise straordinario con Bill Skargard davvero bravissimo e inquietante e non solo per gli effetti speciali.
IT, è un romanzo di formazione al contrario, in cui i protagonisti non devono diventare adulti per affrontare le proprie paure ma tornare bambini per regolare i conti con le paure che non hanno superato. La mamma oppressiva e ansiosa, il padre violento e che abusa della figlia, il terrore di essere derisi e picchiati dai compagni di classe, il razzismo provato sulla propria pelle nera o sulla propria etnia ebraica. Tutte queste paure sono IT. Un’entità mostruosa che controlla la città di Derry fin dalla sua fondazione.
Come possono sette adolescenti, anzi pre-adolescenti sfigati, bullizzati, evitati da tutti, derisi e emarginati fermarla? Con la loro unione, la loro amicizia e il loro farsi forza l’uno con l’altro. C’è Shopenauer, c’è Leopardi in IT di Stephen King. C’è lo spirito di Dunkirk, “Nessuno si salva se non si salvano tutti”, c’è l’ottimismo della volontà, c’è la condanna verso ogni forma di razzismo e di xenofobia e di omofobia. Tutto questo è IT di Stephen King, che può sembrare banale a chi ne parla ora dopo aver letto centinaia di saggi e studi su questi temi; ma quando con le sue millecinquecento pagine (più dei tre volumi del Signore degli anelli) è stato il libro più letto dagli under 20 dal 1986 al 1996 potete calcolare l’impatto che ha avuto su due generazioni di ragazzi almeno.
E King va oltre, perché in IT i preadolescenti si salvano grazie alla magia, (lo dice King nella dedica iniziale ai suoi figli: “Il senso di questo libro è solo uno, ragazzi la magia esiste”).
Ma di quale magia parla Steve? Chi ha letto il libro lo sa, parla di magia sessuale… quando i perdenti dopo aver fermato una prima volta il mostro vorrebbero tornare a casa ma si perdono nelle fogne. Cominciano ad aver paura e a litigare fra loro e allora Beverly per tenere uniti il gruppo dei sette perdenti fa una cosa che… fa una cosa che… che a raccontarla oggi ci si chiede come possa il libro non essere stato messo al rogo dai benpensanti di tutto il mondo. Il nostro amico Tullio Dobner ci ha raccontato che un poco di scandalo c’era stato quando uscì il libro.. ma poi leggendolo era scritto così bene e in modo così poetico che nessuno ebbe il coraggio di dire nulla.
Insomma Beverly, nel libro, fa perdere la verginità a tutti i sei i perdenti. Fa l’amore con tutti loro nelle fogne, unendoli per sempre in un circolo magico che da Losers (perdenti) li fa diventare Lovers (amanti) e “per magia” riescono a ritrovare l’orientamento nel labirinto dove si nasconde IT.
Venendo a noi, perché il cap. II di Muschietti non funziona?
Prima di tutto perché (ancora) non ha il coraggio di mostrare la magia di IT. Ed è un peccato, perché nel 2019 significa che stiamo tornando rapidamente verso un passato di censure e autocensure che speravamo fosse sepolto per sempre. Sostituire la magia sessuale del libro con quella sciamanica e indiana mostrata qui è intollerabile per chi conosce la storia.
Ma non funziona soprattutto per molti altri motivi.
È ridondante. Che Pennywise sia il punto di forza l’avevamo capito. Che in questo film sia tutto basato sul clown al punto che speri di vederlo apparire per combattere la noia ci appare un po’ esagerato.
“Brace d’inverno i capelli tuoi dove il mio cuore brucia!” Bello… si un bel verso poetico con cui Ben conquista Beverly che all’inizio pensa che l’abbia scritto Bill. Bello la prima volta, la seconda e anche la terza… alla quindicesima volta che lo ripetono su questo Cap. II ti viene voglia di andare a prendere a martellate un panda come fa Rat-Man quando deve sfogare la rabbia. Una ridondanza che porta al ridicolo.
Ridicolo, perché un paio di battute sarcastiche in un horror ci stanno sempre bene. All’inizio e alla fine magari. Che gli attori adulti e giovani, stiano sempre a far gli idioti anche di fronte a Pennywise molto meno. (Eddie che scappa via dai sotterranei della farmacia urlando coperto di vomito verde e che comincia a sbattere sulla porta e la commessa a fianco gli dice “deve tirare non spingere” e scoppia il palloncino della bubble gum proprio non si può vedere… ma cosa pensavano di star girando? Mr Bean?).
Cadute di stile a ripetizione, segno che Muschietti si è montato la testa dopo il successo: la peggiore delle quali è la riproposizione delle tre porte che bloccano la via di fuga con scritto “pauroso, molto pauroso, non pauroso” che si erano già viste nel Cap. I e sono qui riproposte in un autocitazione terribile.
Eliminazioni o riduzione ai minimi termini di ruoli importanti nella storia (la moglie di Bill in primis ma anche Bowers adulto ridotto a tre scene attaccate al resto della scenografia con lo sputo).
Alla fine sembra assurdo, ma ci tocca preferire la versione degli anni ’90… che di certo nella linea temporale adulta convince molto di più. Principalmente a causa di Jay Ryan che interpreta il Ben adulto: completamente fuori luogo e non all’altezza in tutte le scene anche quelle più semplici. Aridatece John Ritter!
Non parliamo poi della lettera di Stanley (che evidentemente le ha spedite facendole passare dal tubo della vasca da bagno dove si era suicidato); totalmente fuori dalla storia e fuori contesto. Il classico finale che deve essere lieto per forza.
È evidente che qui ci sono scelte completamente folli come quella di far durare il cap. II tre ore per mostrare scene che non stavano neanche nel libro e prive di senso (la caccia ai propri oggetti importanti da sacrificare) e altre dettate dal bigottismo americano (la censura sulla magia sessuale, il mancato coming out pubblico di Ritchie sulla sua omosessualità che da luogo anche a messaggi ambigui… i gay che ostentano la loro omosessualità all’inizio finiscono male, Ritchie che la nasconde fino alla fine si salva). Altre invece sono segno di grossa presunzione di Muschietti che ha voluto strafare dopo il successo del cap. I; probabilmente non aveva capito che quel successo lo aveva avuto perché aveva riportato fedelmente lo spirito del romanzo.
Il finale non può essere una media, perché il finale delle storie è importante…e questo ci ha mandato di traverso anche il bel primo capitolo.
Alessandro Chiometti
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