The VVitch: chi è la strega?
Se cercate un film che non vi faccia dormire la notte probabilmente “The VVitch” non fa per voi. Ma se volete provare quel senso di inquietudine che vi lascia mille domande ed essere catapultati nel New England seicentesco allora sì, sarete felici. Il film, del 2015, uscito nelle nostre sale con un anno di ritardo, è il primo lungometraggio del regista Robert Eggers (che è anche sceneggiatore e soggettista). La trama è piuttosto semplice: un padre di famiglia troppo dedito al rigore religioso finisce per essere allontanato dalla stessa comunità puritana di cui fa parte insieme ai suoi cari. Testardo nella sua idea di fede, costringe i cinque figli e la moglie a trasferirsi nel New England più selvaggio, appena fuori dal bosco, in una terra arida e impervia. Dopo qualche tempo iniziano a succedere strane cose: sparizioni di oggetti e persone, strani comportamenti da parte dei membri della famiglia … c’è davvero il male nel bosco o la fede cieca e ottusa sta rendendo tutti paranoici?
Nel cast troviamo Anya Taylor-Joy nei panni di Thomasine, la protagonista. L’attrice, protagonista anche nel film “Split” è eccezionale: non essendoci molti dialoghi, spesso gli attori si sono dovuti affidare alle espressioni dei loro volti, e l’inquietudine, il disagio, il senso di inadeguatezza fino allo sprezzo per la vita condotta e i propri cari sono emozioni che si riescono facilmente a leggere sul viso della giovane. La madre, Katherine, è interpretata da Kate Dickie, (famosa per il ruolo di Lysa Arrin in “Game of Thrones”) la quale sembra essere particolarmente portata per i ruoli da donna in pieno esaurimento nervoso. Il padre, William, è interpretato da Ralph Ineson, attore britannico dalla faccia inconfondibile. Anche gli interpreti dei fratelli più piccoli, alle prime armi, sono molto bravi.
La sceneggiatura è, come dicevo, povera di dialoghi, ma le parole non sono mai lasciate al caso. Una frase detta all’inizio del film, una frase che sembra senza importanza, ritorna sul finale con effetti drammatici. Inoltre c’è una certa simmetria nei destini dei personaggi, e il finale prettamente visivo ha molte chiavi di lettura: potete scegliere cosa vederci, l’interpretazione è tutta vostra. Il ritmo è un po’ lento, ma non ci sono tempi morti, di fatto è tutto teso a mantenere il livello di tensione costante. La fotografia ricorda quella di “The Revenant”, con una luce naturalissima che rende il tutto più verosimile. Ed è probabilmente questo il vero punto di forza del film: la verosimiglianza; i dettagli scenografici sono curati in modo quasi maniacale, dagli abiti agli oggetti. Addirittura nella versione inglese del film, gli attori hanno dovuto riprodurre il linguaggio seicentesco.
Insomma, più che un horror vero e proprio è un film di atmosfera. Si prova una pena infinita per tutti i componenti della famiglia, alle prese con una natura matrigna di matrice leopardiana, oppressi dalle loro stesse convinzioni e paure, semplici tanto nel bene quanto nel male. Inoltre c’è una fitta rete di segni simbolici. La sceneggiatura si rifà, come detto nel finale, a storie e leggende folkloristiche. In particolare il capro, animale tipicamente satanico, assume anche il significato di vittima, il capro espiatorio. C’è una dualità di significato, una simmetria che percorre tutta la trama. La strega del titolo è insospettabile. Ma anche questo verrà lasciato alla vostra interpretazione: io ho una mia idea, voi fatevi la vostra.
Premettendo che a me piacciono i film in cui è lo spettatore a doversi dare una risposta, a dover riflettere su ciò che ha visto e dargli un senso (e qui la cosa è fatta molto bene), io mi aspettavo di vedere un horror di quelli che la notte ti lasciano senza sonno. Non è stato così. Il senso di inquietudine è stato sopraffatto dalla pietà. Più che l’orrore inteso nel senso più stretto del termine, c’è moltissimo dramma. L’orrore è quello di una vita di stenti sostenuta in nome di Dio, dell’ottusità e della cattiveria degli uomini ignoranti. Alla fine ho tifato per la strega.
voto 7/10.
Ilaria Alleva
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