Intervista a Davide Montecchi, regista di “In a Lonely Place”

Qualche domanda a Davide Montecchi regista di “In a Lonely Place”, lungometraggio indipendente che verrà proiettato al Terni Horror Fest il 28/10/2017 alle ore 21.00

La prima riflessione che vorrei fare è sulla recitazione dell’attore Luigi Busignani che mi sembra essere un omaggio ad un certo tipo di attori che venivano dal teatro. Tipo un Vincent Price senza i filtri vittoriani dei suoi anni. Sbaglio? e se non sbaglio è una cosa che hai voluto tu o un omaggio dell’attore?

In realtà no, non è stato un riferimento razionalmente ricercato. Ma Con Luigi Busignani abbiamo discusso a lungo del personaggio di Thomas. È un attore dotato di una tecnica e di una sensibilità straordinaria, ed ha anche di una grande preparazione intellettuale. Per questo era interessato a conoscere a fondo il suo personaggio, più che per impersonarlo, per viverlo.

Abbiamo parlato di molti dettagli della vita di Thomas “precedenti al film”: cose che sullo schermo vengono appena accennate ci hanno impegnato in lunghe riflessioni…ci sedevamo e ci domandavamo: “Cosa legge Thomas? Che musica ascolta? Che film guarda? Qual’è il rapporto con i suoi genitori?”

Ecco, credo che le risposte che abbiamo trovato a queste domande abbiano influenzato inconsciamente anche lui.

Beh sullo schermo rende molto. Parliamo della storia di IALP, essenzialmente è una storia di “punizione” per un peccato che la stessa protagonista non sa o meglio ha dimenticato. Hai voluto dare un messaggio del tipo, “attenti al vostro karma” o è una questione più complessa?

Si, in parte quello di Thomas verso Teresa è un discorso “punitivo”. Ma c’è anche un risvolto romantico: è come se le dicesse “So che sei un mostro, ti ho scoperto, ma io ti amo anche così…”

Una specie di “La Bella e la Bestia” al contrario.

Ho apprezzato molto la fotografia del film e alcune scelte tecniche nel gestire le riprese e per questo ti devo chiedere inevitabilmente chi sono i tuoi registi di riferimento. Oltre a questo, rimanendo nella storia di IALP senza svelarla, per buona parte del film lo spettatore ha l’impressione che il film giochi tutto sull’aspetto psicologico e che il gore/splatter non faccia parte dello stile del regista, poi all’improvviso arrivano scene discretamente violente. Ci vuoi spiegare questa scelta così anomala? Mi spiego meglio in genere in un film horror le scene violente o ci sono sempre o non ci sono mai (come in babadook o rosemary’s baby) Ialp invece è un ibrido.

Ce ne sono alcuni che guardo più spesso di altri. Credo che Kubrick, Fellini, Tarkovsky, Greenaway siano per questo film i riferimenti principali. Insieme a Fabrizio Pasqualetto, il direttore della fotografia, abbiamo cercato di rendere tramite le immagini il più possibile vivo lo spazio in cui è ambientato il film. Volevo che le persone “sentissero” quelle sale, quei corridoi deserti e silenziosi…e una fotografia espressionista ci è sembrata la soluzione migliore.

Per quel che riguarda le scene gore, non le amo particolarmente, anche perché salvo rarissimi casi, sembrano sempre un po’ finte. Mi piacciono di più i film che lasciano spazio all’immaginazione dello spettatore, capace di impressionare più di qualsiasi effetto speciale.

In questo caso le ho inserite, brevemente, solo dove erano strettamente necessarie.

Com’è la situazione del cinema indipendente in Italia oggi e se è più difficile lavorare qui rispetto ad altri paesi.

La situazione, salvo rare perle che purtroppo difficilmente si vedono in giro, è piuttosto fosca. Ma realtà come la vostra sono molto importanti per permettere ai film indipendenti di essere visti al di là dei circuiti principali.

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