About: True Detective III

[attenzione spoiler]

[voto III serie 8.4/10]

 

Se il personaggio di Rusty Cole / Matthew Mc Coneughy della prima stagione resta per adesso il punto più alto del genio creativo di Nic Pizzolatto questa terza serie sfiora la perfezione della prima per tutto il resto.

La seconda serie rappresenta forse l’anello debole delle tre (comunque di altissimo livello) a causa dei troppi personaggi protagonisti che uniti alla consueta trama, rendono forse allo spettatore troppo difficile seguire lo svolgimento degli eventi con i giorni di attesa fra une episodio e l’altro.

In questa terza stagione ambientata principalmente in tre fasi temporali (1980, 1990, 2015)  vediamo nel ruolo della coppia di detective Mahershala Alì nei panni di Wayne “Purple” Hays, colored reduce dalla guerra del Vietnam dove si era distinto nel difficile ruolo di ricognitore, e Stephen Dorff in quelli di Roland West come suo collega.

Se la coppia Rusty Cole e Martin Hart (Woody Harrelson) riduceva inevitabilmente il secondo a spalla del primo, in questo caso i rapporti Hays – West sono più o meno alla pari. Entrambi i detective, seppur con caratteristiche molto diverse, partecipano in egual modo alla (non) risoluzione del caso; ovvero la sparizione di due bambini, fratello e sorella, che nel 1980 non sono tornati a casa dopo essersi allontanati in un parco dalle losche frequentazioni.

L’idea parte come nella prima serie con un intervista al detective protagoniste delle indagini passate. Il senso di deja vù è inevitabile, ma dura poco perché scopriamo che “l’intervista” è doppia in due fasi temporali diverse. Il detective Hays infatti viene intervistato dai giornalisti nel 2015 sul caso dei due bambini scomparsi, ma prima ancora viene “interrogato” dal procuratore che vuole riaprire il caso nel 1990.

Il parallelo con Carcoosa su cui aveva indagato Cole è inevitabile e voluto dal regista. Tutto fa pensare che la soluzione di ciò che sia successo (che ci viene svelato in dosi quasi omeopatiche) è in qualche gioco di potenti che rapiscono e abusano sessualmente bambini e prostitute.

Quello che è più esplicito in questa terza serie sono gli intoppi creati dalla politica, dalla volontà dei procuratori che devono rispondere agli elettori di chiudere il caso in fretta per “tranquillizzare la comunità”.

Comunità in realtà tutt’altro che tranquilla vista che è pronta a linciare il sospettato prescelto, un mezzosangue indiano anche lui reduce dal Vietnam ma mai reinseritosi nella società. Purtroppo per i membri razzisti e più esaltati di questa comunità Woodwrad, questo il suo nome, ha trasformato la sua proprietà in una trappola per topi, come si faceva nel “fottuto ‘nam” e ucciderà dieci di loro prima di farsi uccidere da Hays.

Poi rifilargli anche la responsabilità dell’omicidio dei due bambini è facile grazie alla complicità di qualche poliziotto. Ma è solo l’inizio del caso.

Infatti Amelia Reardon (interpretata da Carmen Ejogo), insegnante dei due bambini di cui si innamora il detective Hays durante le indagini accuserà la polizia prima sui giornali e poi con un libro best seller. Ciò complicherà la vita al nostro detective, che comunque grazie a West sarà richiamato ad indagare sul caso nel 1990. Ma anche in quell’anno la realpolitik prevarrà sulle ragioni investigative.

Nel 2015 (tutte queste linee temporali sono sempre sovrapposte in tutti gli episodi) Hays ha degli attacchi frequenti di amnesia, parla con i fantasmi, sua moglie è morta e il suo figlio maggiore è indeciso sul rinchiuderlo in un istituto o meno. Tuttavia riallacciare i rapporti con West gioverà ad entrambi e gli permetterà di capire cosa era successo in quegli anni confusi, e il finale è davvero quello che uno non si aspetta. Perché capita talvolta che vincano i buoni, anche nel mondo reale.

True Detective è un eccellente esempio di gotico moderno e un’analisi spietata e inquietante della società americana.

Il razzismo degli anni ’80 ancora diffusissimo, la paura del potente che gioca con le vite di poveracci vittime della disoccupazione e in balia ai sussidi sociali, l’idea che con i soldi puoi comprarti qualunque cosa e persona, pastori di anime che millantano di salvarti l’anima ma in realtà non si accorgono di quello che succede sotto i loro nasi; tutto ciò  inquieta quanto l’addentrarsi nelle menti criminali.

Nic Pizzolatto sembra voglia mostrarci il thriller perfetto e definitivo. Ci va molto vicino con queste serie di True Detective; di Rusty Cole e della sua spalla Hart abbiamo già detto, la resa delle tre fasi temporali in questa terza serie è forse la cosa più apprezzabile di questa. Ma tanti, veramente tanti sono i momenti memorabili nei suoi lavori. Una menzione speciale meritano le canzoni all’inizio di ogni episodio. Dopo “Nevermind” di Leonard Cohen sulla seconda in questa terza si torna al T-Bone Burnett della prima, che sfoggia un altro pezzo di pura bravura, coinvolgendo e trascinando lo spettatore nella palude investigativa fin dai primi secondi dell’episodio.

E ora speriamo di non dover attendere troppo per la quarta serie!

J.Mnemonic

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